Avventurosa storia della parola smarketing
Centinaia di clienti, migliaia di allievi ai corsi, due libri pubblicati di cui il primo (“smarketing” ediz. Altreconomia) dopo tre ristampe ha avuto una nuova edizione aggiornata nel 2019. Centinaia di articoli sui media tradizionali e sui blog.
1994 – 2004, dalla teoria alla pratica
Negli anni ’90 lo smarketing era un’idea principalmente teorica e laboratoriale, sviluppata in seno all’Università in un decennio in cui Marco Geronimi Stoll insegnava Nuovi Media alla Statale di Milano nell’équipe di Gianni Degli Antoni (al polo informatico di Crema);
L’idea era già quella: inversione del flusso comunicativo in un’ottica anti-consumista per opporsi alle distorsioni del mass-market.
Le basi teoriche erano solide ed autorevoli, sviluppate nel nord Italia e in Svizzera a partire dai primi anni ’90 sulla base degli scritti di ecologia della comunicazione di Marco e sulla letteratura sui temi complessità (Gregory Bateson, Humberto Maturana, Francisco Varela, Edgard Morin).
Contemporaneamente si avvicina ai temi della decrescita di Serge Latouche e alle forme auto-organizzate dell’economia della liberazione (tutto il movimento che parte dalla pedagogia di Freire, in cui la comunicazione tra gli oppressi è la base per la realizzazione etica della libertà).
Nel frattempo negli USA usciva il Cluetrain Manifesto, che formalizzava dal punto di vista delle imprese le novità del mercato interconnesso e i suoi effetti sui consumatori e sulle organizzazioni: era il 1999, il cambio del millennio nei fatti fu ancora più radicale della sua retorica.
2004 – 2008: il successo controproducente
Mentre all’estero prendevano piede i diversi movimenti di comunicatori contro la pubblicità (Adbuster, i Casseur de pub) venivano anche diversi esempi concreti che funzionavano in pratica: associazioni, movimenti e imprese che scoprivano come trovare un pubblico nella creazione di conversazioni invece dei soliti battages di messaggi persuasivi e passivizzanti. Tuttavia le associazioni e le aziende etiche in Italia erano ancora intrise dei modelli del marketing ed erano poco propense a uscirne. Le poche manifestazioni pratiche si manifestavano principalmente nei social forum.
Nel 2004 siamo invitati a pianificare una campagna innovativa basata su questi metodi; ce la chiedono di marketing, glie la facciamo di smarketing. È la storia contraddittoria di La 220, un’azienda che avrebbe potuto scardinare le leggi del mercato elettrico e che ha avuto la fine che molti sapete. È stata la prima in Italia a comunicare con lo smarketing e i risultati sono stati – numeri alla mano- clamorosi, con pochi spiccioli di budget, usando solo internet e qualche radio di nicchia riusciva a contendere quote di mercato alle grande aziende nazionali coi loro budget pubblicitari miliardari. Non è un caso che dopo tre anni la 220 sia stata fatta uscire di scena con giochi societari che tutt’ora sono poco chiari, accorpata in un’azienda di opposta visione.
Alcuni di noi, dipendenti e stakeholder che ci siamo visti morire il lavoro tra le mani non siamo stati a lungo a piangere, ci siamo detti: noi siamo una squadra forte e affiatata, ci mettiamo in proprio. Ci mettiamo in rete. Era il 2008, cominciava a formarsi la rete smarketing° come la conoscete voi.
La rete è stata inizialmente una organizzazione informale, con l’intenzione di formalizzarsi in associazione culturale.
Nel 2010 siamo ufficialmente nati.
Ci siamo presentati a “Fa’ La Cosa Giusta”, la grande fiera di Milano dedicata all’economia sostenibile. Il nucleo dei fondatori è lo stesso che c’è adesso, a loro si aggiungeranno via via nuovi comunicatori in cerca di liberazione personale e professionale.
Con l’andare del tempo quella che sembrava una soluzione temporanea si è rivelata efficace e agile, quindi oggi restiamo una rete di fatto di partite iva senza alcuna identità formale, che si sono consorziate attorno ai valori che in questo sito descriviamo, e delle tecniche di comunicazione che ne conseguono.
Sembra tanto, ma è tutto fatto in modalità “bicicletta”, tanta fatica, spesso con la difficoltà di spiegare al cliente che non stai facendo advertising.
Alcuni restano delusi, si aspettano un’ “agenzia un po’ alternativa” che faccia green washing: con loro è un educato ma definitivo no, ci pigliamo il lusso di scegliere tra i clienti e rinunciare a quelli che non ci danno sufficienti garanzie etiche, ambientali e sociali, che naturalmente sono quelli più disposti a spendere.
Dire di no ai soldi è sempre difficile, ma ci viene spontaneo, sincero, esplicito.
dal 2017 sempre più formazione e affiancamento
Così abbiamo clienti bellissimi, anche se spesso hanno poco budget, e quindi dobbiamo lavorare sempre su tanti piccolissimi progetti veramente economici.
Con il sistema classico sarebbe dispersivo per noi e troppo costoso per i clienti. Così si sposta gradualmente il nostro ruolo, sempre di più siamo facilitatori, formatori, affiancatori; sempre di meno produciamo un prodotto “chiavi in mano” fatto e finito con il classico sito, l’immagine coordinata, i testi, il piano editoriale…
Ci piace.
Abbiamo avuto diverse sedi negli anni, a Milano che è il crocevia delle nostre città e per due anni anche Brescia. L’ultima è per tre anni nel fab-lab WeMake. Ma viviamo sempre più on line, le nostre case sono tutte attrezzate per essere anche degli atelier, lavoriamo quasi sempre dai clienti: ci serve davvero una sede? Forse ci serve di più un laboratorio.
2020, il Covid sulla decima candelina
Ecco che la parte bergamasca della rete (in particolare Guido Bertola) acquisisce uno spazio nell’ex cartiera Paolo Pigna.
Ma gli dei ci mettono alla prova: il posto è Alzano Lombardo, la data è gennaio 2020. Abbiamo visto la parte più drammatica e luttuosa del Covid, abbiamo sperimentato l’inadeguatezza scandalosa delle istituzioni.
Riflessioni per gli anni 20
Sono passati una dozzina d’anni, sembra un minuto ma è stato un secolo: la comunicazione è cambiata radicalmente, non solo quella digitale. La nuova edizione del libro smarketing (uscita tra il 2019 e il 2020) fotografa la nuova situazione.
Sono mutate la comunicazione civile, le realtà dell’economia resiliente, sono cambiate le famose formiche: il nostro slogan del 2010 era “i dinosauri si sono estinti, le formiche no“. Dicevamo che dobbiamo tutti comunicare, diventare “dilettanti competenti”.
Oggi i dinosauri, quelli che non si sono estinti e quelli nuovi, si sono anch’essi mutati in pixel grandi come le formiche, a volte si confondono con esse, spesso nel loro piccolo se le mangiano.
La grande armata del marketing ha assimilato la nostra teoria e ha cominciato a combattere noi partigiani trasformandosi in guerriglia. La piccola dimensione non basta più a riservarsi una nicchia di resilienza.
Essere “dilettanti competenti” è indispensabile, ma spesso non basta più, occorre anche qualche competenza specifica, specialmente sui media digitali, che in pochi anni si sono evoluti in modo molto complesso. Non ci piace tornare alle super-specializzazioni, alla delega ai “tecnici”. Ma un po’ di mestiere oggi serve più di ieri.
Cosa fare? molti affiancamenti, support, supervisioni, formazioni… Cioè: la stessa strategia di prima, ma a un livello più alto di complessità e con un po’ più di specializzazione.
2021: nasce l’associazione
Da quando siamo nati volevamo farlo: un’associazione per l’etica della comunicazione. Separata dalla rete professionale.
Non ci interessava (come succedeva allora) come trucco fiscale o per partecipare ai bandi: grazie al cielo (escluso il periodo Covid) di lavoro ne avevamo quanto bastava a saturare le nostre limitate agende.
Anzi occorre separare nitidamente la parte profit dalla parte non profit, per motivi sia etici che psicologici.
L’associazione rivendica l’idea, prevede lavoro pro bono, esce dai limiti del lavoro per campare. L’associazione per sua natura porta sfide nella comunicazione civile: reclama responsabilità e coscienza attraverso immagini e testi. Le reclama dai singoli cittadini e dalle istituzioni. Comunicare serve a pensare insieme e a modificare le idee, smarketing serve ovunque ci sia dell’inerzia culturale, dell’apatia intellettuale, un vuoto decisionale, un regresso (e ce ne sono tanti).
Il Covid era intorno a noi: cosi carico di frustrazioni, lutti, difficoltà, che è stato naturale reagire: concentrarci, come primo nostro tema, sulla salute.
Guardate ART32 per saperne di più
Se vi interessa sapere come facciamo, leggete
– il nostro manifesto
– il nostro modo di lavorare